Duke Nukem Forever (Limited Edition Del Giorno)

12 02 2011





Varie ed Eventuali

10 02 2011

Oggi, avendo poco tempo a disposizione, butto giù un po’ di roba che mi sta frullando per la testa in questi ultimi giorni. Roba forte però, veramente veramente forte.

Lo ammetto, compro ogni mese Game Republic (l’avevo già detto?)! Purtroppo mi piace o, semplicemente, purtroppo in giro non trovo di meglio. Ho sempre apprezzato le riviste che hanno cercato, in un modo o nell’altro, di espandere il concetto di videogioco e videogiocatore. Siamo lontani ancora miglia dalla qualità di una rivista quale Videogiochi e, perché no, anche di Game Pro nonostante le vicende che ne hanno poi portato alla chiusura. Riviste che avevano il pregio di farsi leggere anche da chi il videogioco non lo ha mai voluto conoscere veramente.

Nel numero di gennaio, non ricordo da chi, veniva posto l’accento sul fatto che, ad oggi, gli “hardcore gamer” mostrino ancora e troppo spesso una mentalità chiusa e naif, cosa che personalmente potrei tradurre in un non accettare l’esistenza di prodotti dedicati ai così detti “casual gamer”, così come considerare questi ultimi non degni fruitori di un prodotto a loro non destinato. Si sa, il settore videoludico è ancora acerbo in molti suoi aspetti e a dispetto di temi che sempre più spesso vengono trattati al proprio interno. Settore giovane, fatto di giovani, con idee vecchie e radicate, anche nella testa del videogiocatore tipico.

Eppure, questa considerazione mi porta a pensare ad una questione che ha nelle sue stesse parole, spesso incentrare al cambiamento, il suo principale paradosso. Non è forse una rivista di questo tipo ad essere ancora fortemente legata al concetto di videogiocatore, e soprattutto lettore, hardcore? Non è una rivista cartacea l’antenata di un settore che ha nei new social media e webzine il suo nuovo modo di fare comunicazione? Siamo proprio sicuri che il casual gamer senta il desiderio di spendere 5€ per una rivista quando a malapena ne conosce l’esistenza?

Domande forse gettate al vento causa mal interpretazione dell’editoriale di Game Republic ma poco importa, lo spunto ve l’ho dato ugualmente.

Altro aspetto di cui si fa un gran parlare è l’arrivo sempre più imminente e minaccioso della rivoluzione distributiva del videogioco, conosciuta anche come digital delivery. Tra gente disperata e visioni catastrofiche, c’è chi è già corso ai ripari con una soluzioni destinate a salvare il settore trade e gd. Gamestop ci sta provando con la sua nuova concezione di store a Palo Alto o la violazione totale della privacy con accessi diretti agli account di Xbox Live!, mentre la catena Game punterà su card dedicate per acquistare contenuti scaricabili direttamente in-store.

La mia idea l’ho già espressa molte volte, e sono fortemente convinto che anche solo focalizzando la nostra attenzione su di un paese molto importante per il settore (seppur in crisi) come quello giapponese, ardentemente legato alle tradizioni e da sempre particolarmente feticista, ci si può facilmente rendere conto come il digital delivery potrà sì essere una rivoluzione nella distribuzione del prodotto videoludico ma non causerà certo la morte di quella tradizionale. Allo stesso tempo, faccio molta fatica a considerare le idee proposte da Game e Gamestop come soluzione per sopravvivere allo tsunami futuro.

Sappiamo tutti che i publisher in primis vedano il digital delivery come l’occasione della vita per poter guadagnare di più e far fuori i vari intermediari (gd in primis) a cui, molto spesso, donano allegramente il deretano. Inoltre, questo è un concetto di distribuzione che vuole avere il cliente al centro della trattativa con un risultato “a km zero” che non dovrà quindi imporre lo spostamento di una persona per acquistare un prodotto. In due parole, perchè mai andare a scaricare un dlc/gioco in negozio, magari pagandolo di più (Gamestop che regala qualcosa??) quando posso fare tutto da casa? No, no, non ci siamo proprio.

A questo punto vi starete dicendo “dove diavolo vedi speranze per il trade indipendente in tutto ciò?”. Lo vedo, seppur in modo particolare, nel secondo paradosso di giornata. Come già detto sono certo che il prodotto “inscatolato” così come le varie limited edition non moriranno mai, ma potrebbero diventare una fetta di mercato per veri appassionati, in pratica per soli “hardcore gamer” (eccoli di nuovo!), permettendo di percorrere quindi un processo per cui, negli anni, molti negozianti hanno lottato strenuamente.

Specializzazione. Quella vera.

Un ritorno alle origini in cui una nicchia rappresentava il core business del settore. Rischioso e con meno spazio per tutti, ma dannatamente reale, per il sottoscritto.

Ultima riflessione di oggi, ancora legata ai publisher e distributori italiani. Quando durante un canvass qualunque, per acquistare un gioco qualunque ed ottenere uno sconto qualunque si viene obbligati a comprare anche prodotti extra dalla qualità infame e dal sucesso commerciale defunto ancor prima di cominciare, cosa vi sentireste in diritto di rispondere?

No grazie (modalità eufemismo on).

E se ci si sente dire: “allora ti apro di fronte un mio store così ti faccio chiudere”, cosa invece rispondereste in questo caso?

Credo nulla, perché sarete già passati alle mani.

Altro che digital delivery.